Muore Bowie, e per quanto tu sia ben consapevole dell’epocalità del personaggio, e della sua fondamentalità sia per lo sviluppo dei tuoi gusti musicali che per l’esistenza stessa di un sacco di musica che hai amato successivamente, non ne hai nemmeno per l’anticamera di scrivere un post.
Prima di tutto perché non ti senti nemmeno lontanamente all’altezza di discettare della vasta&varia opera omnia del suddetto (27 album di studio in quasi cinquant’anni, una venticinquina di generi musicali diversi). Poi perché lo sta comunque già facendo fior di gente più titolata di te, e coi social media non c’è certo bisogno di un altro coccodrillo, che già sembra di stare in un fiume sudafricano. Eccetera.
Però poi, poi però vai a sfrucugliare nell’opera del nostro e ti ritrovi (metaforicamente) tra le mai un LP che hai comprato nel 1980, totalmente sulla fiducia della recensione di un magazine. Sulla fiducia, perché al massimo ai tempi avevi sentito, che so, Space Oddity e Rebel Rebel (oltre ovviamente a Heroes, che non si sentiva praticamente altro, con la menata di Christiana F e gli orizzonti berlinesi – e tu massimo potevi sperare di arrivare a Nonantola) ma il Bowie fino a quel momento era musica che aveva un vago retrogusto residuo ’70s che ti stava un po’ sulle palle: a te, giovane punkettaro che non capivi un cazzo, stava sulle palle Bowie. Renditi conto.
Poi è stato dopo, solo DOPO che hai scoperto le grandi suite strumentali come Warszawa e Station to Station, e i grandi singoli più o meno pop di Bowie, da DJ a Jean Genie, da Changes (ch-ch-ch-ch) a Young Americans, a Fame, a Sound and Vision (paaa-pap-paraa!). E poi Tin Machine, che meriterebbe un altro post.
E comunque: Scary Monsters è un album in cui c’è un singolo stilosissimo abbastanza noto (Ashes to ashes) e un sacco di altri pezzi BELLISSIMI – tra cui una title track elettronica, quasi industrial-noise, quasi NIN ante-litteram, che resta un altro dei miei brani preferiti in assoluto. MA è un album poco conosciuto, al di fuori del fortunatamente-non-ristretto circolo dei fan. E te lo rigiri in mano e ancora, un quarto di secolo dopo, non ti capaciti di come possa essere ancora così moderno, piacerti ancora tanto, forse anche perché rappresenta il passaggio tra due ere musicalmente molto diverse e tra due Bowie musicalmente molto diversi, l’album cuscinetto che ha attutito lo shock culturale del passaggio dal Bowie berlinese a quello di Let’s dance, che per i fan del Bowie seventies fu un tradimento, quasi come Like a rolling stone suonata elettrica per Dylan. E con Bowie siamo a quel livello, non c’è dubbio.
Fatto sta che Scary Monsters è un album pazzesco, che quando lo metti sul giradischi la prima cosa che senti è un rumore che sembra di nuovo quello della puntina che cala sul disco e pensi “il disco è rovinato” e invece no: è il produttore Tony Visconti “rewinding the deck and pressing play”. Mentre sei ancora lì che cerchi di capire cosa cazzo era quel suono (che sembra anche un po’ il pachinko), BAM: stick-stick-stick, one-two-three, parte la chitarra distorta di Fripp e una che canta in GIAPPONESE (che nel 1980, vi garantisco, era un notevole WTF).
E la tipa non canta ma quasi grida, tipo samurai, e Bowie grida ancora di più, tipo uno a cui stanno strappando l’intestino, cosa che al momento ti stravolge e di cui solo 25 anni dopo scoprirai il perché, cioè che era un omaggio a
“the righteous zeal of Instant Karma, the catharsis of Plastic Ono Band. It’s no coincidence that “Pt. 1” is sung by an Englishman and a Japanese woman”
Ma anche che, come se non lo amassi già abbastanza:
“I wanted to break down a particular type of sexist attitude about women. I thought the idea of the ‘Japanese girl’ typifies it, where everyone pictures them as a geisha girl, very sweet, demure and non-thinking, when in fact that’s the absolute opposite of what women are like. They think an awful lot, with quite as much strength as any man. I wanted to caricature that attitude by having a very forceful Japanese voice on it. So I had Hirota come out with a very samurai kind of thing.”
Ed era tutto, straordinariamente figo e potente e moderno. E questo solo nei primi 5′ del disco, poi c’erano i singoli Ashes to ashes, tuttora fighissima, e Fashion, poi Scary Monsters and Super Creeps che ha la violenza di una BOMBA, poi la delicatezza musicale del trio Teenage wildlife, Scream like a baby (Tom was a gun) e Because you’re young (you’ll find a stranger sometimes), nientemeno che di Tom Verlaine dei Television. In tutto imperversa la chitarra strappata di Fripp (Pete Townshend in un brano), la batteria pestatissima di Dennis Davis e il piano di Roy Bittan della E Street Band.
Ma comunque, il pezzo iniziale si intitola It’s no game (part one) e per me può essere stato scritto ieri per quanto è moderno, e per quante me ne possiate mettere davanti, da Major Tom passando per Spaceboy fino al Lazarus di Blackstar, insieme a Scary Monsters and super creeps resta il mio brano di Bowie preferito del mio album di Bowie preferito.
Che è la ragione, alla fine, per cui ho scritto questo pezzo: che nel parlando e celebrando e riascoltando la quantità di grande musica scritta da Bowie, che qualcuno si ricordi di Scary monsters. O magari lo scopra, se non lo conosceva. Tutto qui.