La prima reazione dei partiti all’avvento del Movimento 5 Stelle è stata l’indifferenza, che ha lasciato posto allo scherno, che ha lasciato posto allo sdegno, che ha lasciato posto all’incredulità, che ora lascia posto al tentativo di imitazione.
Le ragioni per cui i partiti non hanno capito e continuano a non capire il successo di 5 Stelle sono diverse, ma alla base sta la concezione, marchiata a fuoco sul cranio delle nuove leve in quelle fabbriche di candidati che sono i partiti italiani, secondo cui la Politica si fa in un solo e unico modo: dentro alle istituzioni, in un parlamentarismo rivolto all’interno. Confrontandosi con i movimenti civili solo (e forse) a decisioni prese, confrontandosi (?) con i propri elettori solo in occasione delle campagne elettorali.
E sono 60 anni di campagne elettorali quasi continue, in cui i politici italiani hanno interiorizzato una forma di comunicazione che è stata di marketing e non politica, nel senso di dibattito e confronto continuo con la propria base elettorale. La comunicazione di quasi tutti i politici italiani con il proprio elettorato avviene per veline, comunicati stampa vaghi e stilati per compiacere il più possibile la maggior parte possibile del proprio elettorato senza affrontare quasi mai i temi da punto di vista progettuale, del dibattito, dell’apertura al dialogo prima che siano prese le decisioni, e non solo dopo.
Magari anche quella di Grillo, eh? Ma il Movimento 5 stelle ha un vantaggio, anzi due: ha un programma stilato in modo semplice e diretto, con dei punti chiari e comprensibili, ed è percepito come il Nuovo.
E’ chiaro che, con l’abitudine radicata al velinismo di partito, il linguaggio e i temi di Beppe Grillo sembrano provenire dalla luna. E le critiche che i partiti fanno a Grillo per quanto riguarda i suoi toni, il populismo, la faciloneria, la semplificazione e la superficialità con cui tratta pubblicamente certi temi sono sensate e comprensibili. Grillo si comporta pubblicamente in modo aggressivo, semplificatorio al limite della macchietta. Ma questo non significa che il Movimento 5 Stelle sia l’immagine pubblica di Grillo.
Beppe Grillo non è che avesse scelta: sapeva benissimo che parlando in modo pacato, ragionevole, strutturato e razionale non aveva la minima possibilità di ottenere la visibilità necessaria a lanciare un movimento. Da una parte perché con messaggi semplici e estremi è più facile attirare l’attenzione di un elettorato stremato da 60 anni di comizi elettorali apparentemente indistinguibili uno dall’altro, ma soprattutto perché i media non gli avrebbero dato 5 minuti di attenzione se non si fosse espresso in modo clamoroso, se non avesse cominciato ad aggregare consenso rapidamente nell’unico modo in cui è possibile farlo. Che possiamo anche chiamare facile populismo, se ci fa sentire meglio.
Ma pensiamo veramente che creda letteralmente, in tutte le sparate che fa, e che tutti quelli che lo seguono siano abbagliati dalla figura del Messia? A me pare probabile che quasi nessuno, all’interno del suo movimento, ami veramente l’estremismo verbale di Beppe Grillo, che è necessario quanto probabilmente scomodo per molti. Ma Grillo non è il Movimento 5 Stelle: probabilmente Grillo non è neanche Grillo. Beppe Grillo ha dovuto mettersi su un piano dialettico necessariamente estremo, semplificatorio, dirompente. Che poi gli riesca bene e ci si diverta anche non c’è dubbio.
Ma mettiamo pure che lui sia davvero così: è veramente questo il punto? Accusarlo di essere un capopolo accentratore e messianico, disinteressarsi di tutto il resto del movimento – di cui lui è solo la figura simbolica – e esorcizzarlo definendolo antipolitica, è davvero il piano su cui vogliamo metterci? Agitare lo spettro dell’uomo forte desideroso di potere assoluto è davvero uno spauracchio che vogliamo agitare, senza sentirci ridicoli?
E i partiti vogliono davvero continuare a ignorare il fatto che su molti punti il movimento 5 Stelle ha un programma che oggi è molto più vicino ai desideri della maggior parte dell’elettorato di quello di qualunque altro partito, e disprezzare l’elettorato – anche quella parte rilevante del proprio – che desidera seguirlo? E fino a quando? It’s the issues, stupid.
Io non credo che il movimento 5 Stelle avrà mai un risultato che gli consentirà di formare un governo o persino di influire su una coalizione, ma mi pare evidente che in Italia c’è un problema: sul piano della progettualità, della capacità di avere e praticare idee nuove e dirompenti – consentitemi, rivoluzionarie – in un momento in cui è un bisogno vitale per il paese, la macchina della politica italiana si è inceppata da anni. E sul piano della comunicazione con il proprio elettorato forse ha già superato il punto di non ritorno. Qualunque cosa accada che abbia anche solo la minima speranza dare una spallata che ci faccia uscire da questa impasse è meglio dello stallo e della lenta spirale in caduta libera che è la rappresentanza politica in Italia in questo momento.
Ma una vittoria il Movimento 5 Stelle la otterrà: non sarà la perdita della maggioranza parlamentare per i partiti tradizionali, ma la definitiva perdita di fiducia dei loro elettori.
Edit: una questione importante che avevo dimenticato nella prima stesura. Le generazioni più giovani non ragionano più in termini di destra e sinistra. Che piaccia o meno (e a me sicuramente non piace) è così. Quindi la questione se 5 Stelle sia di destra o di sinistra può avere senso ma è irrilevante all’atto pratico. Sempre più in futuro si dovrà ragionare sul merito delle singole istanze, indipendentemente dalla loro (e dalla propria) appartenenza o identità o coerenza ideologica. Continuare a ragionare in questi termini significa allontanarsi sempre più dall’elettorato di domani.