Internet bene comune, adesso.

Ovviamente, solidarietà per le famiglie coinvolte dai terremoti in Emilia e massimo rispetto per l’efficienza e la civiltà del popolo e delle istituzioni emiliane. Da modenese so che l’Emilia ha una cultura sociale, politica ed economica in grado di affrontare una catastrofe naturale con una rete di solidarietà ed efficienza nei soccorsi, nelle procedure e nelle strutture che è forse unica in Italia.

Non a caso la prima esigenza emersa sui social network non è stata di soccorsi, di aiuti, ma di accesso: aprite i wifi, si diceva. Mettete a disposizione connessione utile. Richiesta emersa dalle persone, a cui si sono accodati gli stessi fornitori di connettività che tutti gli altri giorni dell’anno ti installano un router chiuso. Lo stato e le autorità locali no: non potevano. Perché c’è un decreto legge assurdo e pretestuoso, ma anche mai abrogato, che vieta i wifi aperti, in qualunque situazione.

Ricevendo via twitter da Orlando la proposta di creare una mappa collaborativa dei wifi aperti in zona mi sono chiesto: ma perché? Perché in una situazione di emergenza in una delle regioni più evolute al mondo ci si deve ridurre a pensare a un’iniziativa privata, non organizzata e molto probabilmente poco efficiente per fare qualcosa – garantire la massima connessione possibile tra i nodi della Rete – che non solo ha una effettiva utilità in caso di emergenza, non solo dovrebbe essere già garantita dallo Stato o dalle istituzioni regionali, ma contiene già questa possibilità nella sua natura, a costo zero?

Ne ho avuto la conferma quando ho cercato di chiamare al cellulare mia mamma e mi sono imbattuto in un’assenza di servizio mai vista prima. Il perché è ovvio: la rete cellulare è una tecnologia tradizionale e ormai obsoleta che risale a 40 fa e non ha possibilità di evolvere in modo significativo: ha una capienza massima di accessi, in caso di emergenza salta, così come le linee telefoniche tradizionali, i trasporti, tutto quello che è basato su infrastrutture gerarchiche e chiuse, basate su logiche proprietarie di controllo e non scalabilità precedenti alla Rete.

Come in tutti i casi di servizi erogati attraverso strutture e protocolli privati, nel momento dell’emergenza il sovraccarico causa il blocco. Accade con l’elettricità, la telefonia, i trasporti. Non parliamo poi del petrolio. E’ il primo problema in causa di emergenza: il picco di uso blocca il sistema.

Ma internet è l’unico servizio che pur dipendendo da strutture centrali ha una straordinaria capacità pervasiva di sopravvivere: per sua natura Internet rerouta le richieste grazie a protocolli aperti e alla capacità di non fare distinzioni tra chi si collega e con che scopo: la natura aperta del sistema è anche la sua forza.

E allora qui la questione vera è: perché, vista la sua importanza, la sua strategicità in termini di accesso, soccorso, assistenza, perché questa straordinaria capacità di interconnessione non è considerata dalle autorità, che siano locali o centrali, come un bene comune da garantire a tutti? Perché la possibilità di chiamare un’emergenza è prevista nella telefonia cellulare ma non per quanto riguarda la Rete?

Perché le istituzioni locali (emiliane, nello specifico) hanno sempre avuto posizioni forti e politiche sull’acqua-bene-comune, ma non hanno mai osato fare la cosa più logica, semplice, sensata, socialmente necessaria: sfidare quell’assurdità che sono i decreti (obsoleti, inutili, odiati da tutti) che impongono il riconoscimento dell’identità utente e dire: sai che c’è, Stato? Io voglio che i miei cittadini abbiano accesso alla Rete sempre e comunque, in caso di emergenza ma anche tutti i giorni. Almeno per strada, gliela do io, senza se e senza ma.

La Rete è un bene comune, una risorsa necessaria, l’unica infrastruttura nazionale e globale che grazie al suo essere aperta e basata su standard pubblici è in grado di connettere tutti a tutti istantaneamente, e superare danni fisici al sistema. E’ una risorsa vitale non solo in caso di emergenza (che già dovrebbe bastare per garantirla) ma ogni giorno a tutte le persone che possono avere bisogno nei momenti più imprevisti di accedere alle autorità, ai dati e a informazioni vitali, alla solidarietà dei loro concittadini. Semplicemente, ai loro cari.

E questo è solo l’inizio, nessuno può dire oggi cosa ci consentirà di fare la Rete in futuro, una volta che sarà liberata: è un media in continua, rapidissima evoluzione a cresce di valore a tassi che le altre tecnologie si scordano. E’ l’unica risorsa in grado di mantenere collegate le persone, collettivamente, in qualunque evento, e di evolvere e adattarsi a qualunque situazione. Perché questo non è riconosciuto come vitale, strategico, un diritto civile? Ancora di più (pare): una questione di sicurezza nazionale? Che cos’è la sicurezza nazionale se non, prima di tutto, la sicurezza dei cittadini?

Le tecnologie di copertura a livello di città esistono e in alcuni luoghi, dalla Lituania alla California, sono attive da anni: perché la Regione Emilia Romagna e i comuni emiliani, simboli dell’eccellenza civile italiana, ancora non hanno il coraggio di sfidare un decreto accidentale, maldestro e inutile, fonte di imbarazzo per tutta la nazione, e dare ai loro cittadini una connessione aperta, stabile, ubiqua, vitale in caso di emergenza?

Ma davvero: cosa stiamo aspettando?

 

 

immagine di sjcockell da flickr

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