fare i democratici col culo degli altri

la classe politica non ha esitato a celebrare il fatto che l’avvento di un media disruptive (che significa rivoluzionario, non distruttivo) come Internet abbia radicalmente mutato i rapporti tra potere e popolazione nei paesi in via di sviluppo, i cui popoli chiedono maggiore partecipazione ai processi della politica e maggiore responsabilità dei governanti nel prendere decisioni in trasparenza e negoziarle con una popolazione resa più unita e organizzata dalla forza del Network.

la nostra società vede positivamente il fatto che la Rete ci consenta maggiore partecipazione, più forza e capacità di pressione nell’orientare l’offerta di mercato delle aziende e le scelte delle istituzioni e dei fornitori di servizi.

troviamo positivo il fatto che l’avvento di Internet abbia mutato i rapporti di potere nel panorama dei media, portando maggiore trasparenza da parte degli editori, maggiore impegno e responsabilità da parte dei giornalisti, maggiori opportunità di partecipazione ai lettori e agli spettatori.

quindi perché, in un paese in cui il voto è virtualmente svuotato non solo della possibilità di partecipare alle decisioni, ma persino di ogni rappresentanza, facciamo così fatica ad accettare che l’avvento di Internet possa mutare i rapporti tra potere e cittadinanza ANCHE in una democrazia come la nostra, che come tutti i sistemi politici non possiamo non considerare sempre migliorabile? perché siamo convinti che il nostro sistema democratico rappresentativo così come è oggi debba essere immutabile, non possa essere migliorato attraverso nuove modalità partecipative, così come è sta accadendo ad altri sistemi, politici e non?

perché facciamo – non solo la nostra classe politica, ma anche noi come elettori – tanta fatica a immaginare la possibilità che un nuovo contratto sociale, basato sul dialogo e la negoziazione continua tra le amministrazioni locali e nazionali, la società civile, le comunità locali rese più unite e organizzate dalla forza del Network, consenta al nostro sistema elettorale, superato, ormai quasi feudale, di acquisire maggiore trasparenza e maggiore partecipazione alle scelte della politica da parte degli elettori? cosa ci fa pensare di avere un sistema perfetto? e non abbiamo già verificato che non lo è affatto? quali altre dimostrazioni servono?

perché la classe politica non capisce che quello che conta non sono le parole, le facce o le singole istanze portate avanti da quei movimenti, ma il fatto che rappresentano una richiesta di cambiamento concreto (anche verso direzioni piuttosto chiare) e non capisce che la sua stessa sopravvivenza dipende dal saper dare risposte a bisogni di trasparenza e partecipazione crescenti, maggioritari, resi sempre più potenti dai new media? come può pensare di esorcizzarli chiamandoli antipolitica?

perché il cambiamento in direzione della partecipazione, della possibilità di incidere di persona, è benvenuto nel mercato, nel panorama dei media, nelle altre nazioni, ma non quando viene richiesto dalla nostra società? perché assumiamo improvvisamente un atteggiamento reazionario di rigidità e rifiuto rispetto all’emersione di movimenti che, pur con metodi discutibili o poco ortodossi, chiedono quello che ogni cittadino, ognuno di noi in fondo desidera: una democrazia più vera, più partecipativa, con meno spazi per un sistema di delega in bianco che lascia l’elettore svuotato di ogni possibilità di cambiare le cose, di esprimere in prima persona le proprie opinioni, obiezioni, soluzioni?

insomma, perché quando emergono movimenti che chiedono un sistema di rappresentanza più moderno, partecipativo, trasparente e rappresentativo, siamo proprio noi i primi ad avere un rifiuto a priori, così antistorico, antimodernista, destinato a fallire?
qual è il tabù che è stato toccato? cosa sentiamo messo in pericolo?