al netto di quanto sia corretto sul piano dei fatti il servizio di Report su Moncler, non sono stato da subito d’accordo con il sarcasmo sulla facile indignazione per i metodi della raccolta del piumino (trovo quasi sempre inutile se non irritante il sarcasmo sulle reazioni emotive delle persone, quando sono in buona fede), e non sono stato da subito d’accordo sulla posizione-Gabbana “il lusso è così”, semplicemente perché non è vero: esiste la produzione di alta gamma che è anche qualità etica e sostenibile, e nello specifico l’esempio di Patagonia è tra i migliori al mondo. (anche la posizione “se vuoi la sostenibilità devi essere disposto a pagarla” mi pare che salti un passaggio o due, ed escluda la possibilità di un’industria che veda come parte del profitto la sostenibilità e la stima etica del mercato, o addirittura che non abbia – gasp! – come obiettivo il profitto).
ma se una cosa me la porto a casa da tutta questa faccenda è che piaccia o no, che sia razionale o l’indignazione emotiva di un giorno, sempre più il destino dei brand è di affrontare il passaggio attraverso il giudizio morale, anche sommario, del mercato, sempre più le persone sono sensibili, attente – magari superficialmente, grossolanamente, ma attente – alle questioni che riguardano l’etica nella produzione industriale, sempre più è necessario avere una posizione trasparente rispetto alle pratiche, e non solo a quelle produttive. che si tratti di una sensibilità evoluta autonomamente o l’effetto della sensibilizzazione da parte dei movimenti animalisti e ambientalisti, o della sub-informazione semplicistica in stile 5 stelle o altro, è irrilevante.
non dovrebbe sorprendere, poiché non è cosa di oggi, che si tratta di un giudizio morale che riguarda tutte le scelte industriali: dal pricing (equo, ragionevole, “morale”) alla distribuzione (in termini di trasporti, inquinamento, emissioni) alla promozione (l’etica del messaggio, il rispetto della donna nella comunicazione, la tutela dei più piccoli) fino naturalmente al prodotto: le condizioni di lavoro inaccettabili e le paghe non eque, lo scarso rispetto dell’ambiente, i processi che prevedono crudeltà sugli umani o sugli animali. smontiamo un’altra posizione superficiale: le sofferenze degli animali NON sono “più importanti di quelle umane” per le persone. si tratta di sensibilità parallele, visto che gli esseri umani sono in grado di empatizzare su più di un livello. l’obbligo morale di evitare inutili sofferenze a tutti gli esseri viventi è sempre più diffuso nel mercato, soprattutto nel pubblico femminile e soprattutto nelle generazioni più giovani.
è probabilmente vero che quello di cui stiamo parlando è un giudizio morale spesso sommario e superficiale, ma si dà il caso che questa sia una ragione in più e non in meno per prestarvi attenzione: sembra che scopriamo oggi che i mercati sono irrazionali. non c’è mercato più irrazionale di quello elettorale, ma quando Obama perde le elezioni l’unica frase che gli esce di bocca è “I hear you”. non “vi sbagliate” o “giudicate irrazionalmente”.