Maria Elena Boschi, i bimbi congolesi adottati e l’ipocrisia di un paese che ha problemi ben più seri

Si è parlato e ancora si parlerà delle foto che ritraggono il ministro Boschi nell’atto di accogliere a Kinshasa un gruppo di bambini congolesi: la scelta di mandare il ministro per le Riforme Costituzionali è stata accusata di strumentalità e populismo, immagino anche da certa sinistra. Nulla è valsa la spiegazione del ministro riguardo alla sua presenza.

Al di là del fatto che si possa, con un candore straordinario, trovare fastidiosa l’idea che chi si occupa di comunicazione per la Presidenza del Consiglio organizzi una photo-op (cioè faccia il suo mestiere) per un evento del genere, o anche che si possa, vivendo forse nell’800, trovare scandalosa l’esistenza stessa delle PR in politica, mi pare ci sia un equivoco di fondo, un malinteso su cosa sia e a cosa serva la comunicazione politica.

Le critiche sembrano basarsi sulla convinzione che che la comunicazione politica debba essere reportage obiettivo e neutro, che al di fuori dal Parlamento (dove, ricordiamo, è passata gente che chiamava i colleghi “cicciolini”, sventolava fette di mortadella, saliva sul tetto per protestare o appariva sulle copertine dei periodici con in braccio un cane) un evento come quello a cui abbiamo assistito debba rappresentare una genuina tranche de vie della giornata di un politico.

Viene da immaginare che, secondo questa interpretazione, qualunque manifestazione pubblica di un politico dovrebbe essere riportata dalla stampa solo nel caso sia spontanea e frutto di un impeto genuino e del tutto disinteressato, nonostante nessuno possa affermare sia mai stato così nella storia dello Stato moderno – o, se preferiamo, in quella della fotografia. Qualunque cosa poi significhi disinteressato in questo contesto, non so neanche se cercare di capirlo: la politica, come ogni mestiere, ha degli interessi e degli obiettivi.

Il punto della comunicazione non è se il politico sia sincero e genuino nel compimento dell’atto rappresentato, ma se sia credibile nel compierlo, e  cosa comunichi quel gesto. Se la politica è arte del possibile, la comunicazione politica è narrazione del possibile, ovvero un (altro) modo di far passare i valori, le idee e la visione del futuro di un partito o governo attraverso immagini, gesti, azioni simboliche. Questo la Lega lo sa benissimo, pur facendone un’esecuzione becera e, quella sì, spesso offensiva.

E’ ben poco rilevante e nessuno può dire se il ministro Boschi in quelle immagini sia sincera: il punto è se sia credibile o meno. La comunicazione politica funziona quando la figura ritratta è credibile nella sua azione o nelle parole che sta pronunciando, mentre è percepita come strumentale e manipolatoria quando non è plausibile (immaginiamo Calderoli nella stessa situazione e intuiamo subito cosa significhi non credibile).

Ciò che conta, se non si vuole essere ipocriti, non è una sincerità nelle intenzioni che non ha alcuna rilevanza politica, ma il modo in cui lettore e spettatore possono immedesimarsi nel gesto, intuendo e abbracciando attraverso di essi – per una volta in modo empatico e non solo intellettuale – la posizione progressista e civile del governo su questioni come l’immigrazione, la solidarietà, la tolleranza (parola che indica una questione che non dovrebbe nemmeno esistere, santiddio, e invece richiede un continuo intervento da parte della politica).

E comunque in un paese in cui è in discussione ogni domenica persino il concetto di uguaglianza in base al colore della pelle, vale e serve tutto.

 

Maria Elena Boschi