L’obiettivo della Cina è sempre stata la riannessione di Hong Kong e Taiwan, le cui parziali indipendenze la Cina ha sempre accettato obtorto collo. Ora che è forse la prima potenza mondiale, la Cina torna con decisione su questi obiettivi, localmente con l’autorità e probabilmente la violenza, all’estero con la leva delle sanzioni, come dimostrano i ricatti a NBA e Apple delle ultime settimane.
Sul Tibet neanche a parlarne: è strategico per il controllo militare dell’Himalaya e nel giro di qualche generazione sarà quasi completamente cinesizzato, e lo stesso vale per lo Xinjiang dell’etnia islamica uigura.
Tutto ciò però è possibile perché è fatto con il pieno appoggio della grande maggioranza del popolo cinese e, attenzione, non solo per un’adesione forzata a un regime autoritario se non dittatoriale, ma perché un popolo unito in un territorio unito con un’economia dominante e un esercito potente che controlli terra, cieli e mari è da sempre l’obiettivo del socialismo con caratteristiche cinesi, ed è un obiettivo che è stato interiorizzato dal popolo cinese, che sente il fascino del nazionalismo come tutti i popoli.
L’idea che l’economia di mercato trasformi le società e con un colpo di bacchetta magica vi porti un’ideologia capitalista occidentale necessariamente legata alla libertà di espressione è tipica di chi conosce solo il capitalismo occidentale e lo ritiene l’unico esistente: non esiste una sola forma di capitalismo al mondo, così come non esiste una sola forma di socialismo, e così come non esiste una sola forma di democrazia. Poi uno (per esempio, io) può essere convinto che quella europea sia la più evoluta, ma questo non significa che debba per questo vincere sempre, o addirittura esistere per sempre.