la tutela della privacy dello smartphone (Android)

nessun Presidente ha mai messo troppo il bastone tra le ruote alle agenzie governative riguardo al controllo delle masse tramite i sistemi informatici, e considerata la sostanziale carta bianca che Trump prevedibilmente darà a FBI e NSA, se abbiamo mai considerato di viaggiare negli USA al riparo da occhi indiscreti, questo potrebbe essere un buon momento per iniziare ad anonimizzare le nostre attività sullo smartphone.

e non è solo Trump: già da anni negli USA di Obama l’Immigration prende le impronte digitali e può legalmente pretendere di farsi una copia del nostro smartphone, quindi è da considerare l’idea di viaggiare nei paesi che violano d’abitudine la privacy di cittadini e visitatori (USA, UK, Cina, India, Russia, Arabia Saudita, Cuba, Turchia, Iran, Pakistan, Vietnam, entrambe le Coree, e molti altri) con uno smartphone “vergine” e non loggato a social media o servizi identificativi.

se però – ed è il caso della maggior parte di noi – farlo è impensabile, o troppo sbattimento, ci sono alcune contromisure preventive che ci vengono in aiuto: prima di tutto criptare gli hard disk dei computer, poi usare i software di anonimato.

premesso che non sono un pro dela sicurezza quindi possono esserci inesattezze, ecco alcune dritte per tutelare un po’ di più la nostra privacy, nel quotidiano e in viaggio, su Android (sono tutte legali):

1) gli hard disk dei PC e degli smartphone possono essere facilmente criptati (cioè resi illeggibili a chi non sia in possesso di una password) dalle impostazioni, ma spesso la criptazione è disattivata di default, quindi va attivata volontariamente. su OSX è nella sezione Security e Privacy / FileVault, su Android è sotto Sicurezza / Crittografia.

2) per avere una ragionevole speranza di anonimato e non tracciabilità da parte dei siti che visitiamo o i contenuti che scarichiamo (il sistema operativo del telefono sa sempre dove siamo e chi siamo, quindi da quello non c’è difesa) ci sono due software standard:

il primo è una VPN, che ha il compito (per i nostri scopi) di mascherare la nostra posizione, IP e geografica, permettendoci di fingere di collegarci da un altro paese e impedendo a chi ci osserva di tracciare il nostro vero IP (che è quello che ci identifica per esempio in caso di accesso a bittorrent o simili sistemi di download).

le VPN sono tante, sono a pagamento (quelle gratis sono da evitare): io uso AirVPN, gestita da attivisti per la privacy italiani. ha un’app per PC (Win, MacOS, Linux), è configurabile a livello di router, e su Android si può portare tramite l’app OpenVPN.

il secondo è TOR, un software di anonimizzazione che fa passare la nostra connessione attraverso una serie di “nodi”, rendendo molto difficile identificare il nostro accesso originario alla rete.

TOR è installabile tramite il TOR browser dedicato, da usare per le ricerche sensibili poiché con Chrome non si è mai sicuramente anonimi. Su Android io uso Orbot e il browser sicuro Orfox.

probabilmente nessuno di questi due sistemi mette totalmente al sicuro da una ricerca specifica di un’agenzia governativa, ma usarli insieme aumenta grandemente la nostra probabilità di essere anonimi in rete.

3) usare il motore di ricerca DuckDuckGo e non Google per le ricerche. DuckDuckGo (sostiene di) non tracciare i propri utenti, mentre sappiamo che Google tiene traccia delle ricerche che abbiamo effettuato e su quali siti, associate, appena riesce a farlo, alla nostra identità. DuckDuckGo ha un’app per Android.

4) oscurare con un pezzo di nastro isolante nero la telecamera del proprio PC, e quella frontale dello smartphone (i selfie possiamo imparare a farli con quella posteriore, che vengono anche meglio).

per i microfoni, si può inserire un jack tagliato dai cavi di da un paio di auricolari DOTATI DI MICROFONO nella presa per le cuffie del PC, lasciando inserito nel PC solo il jack.

5) evitare di pubblicare sui social media – soprattutto come foto profilo – immagini in cui compare il nostro viso intero e ripreso frontalmente, associato al nostro nome completo. parziali mascheramenti del viso rendono un po’ più arduo il riconoscimento facciale: lo scopo qui è cercare di evitare che sia possibile costruire un database di nostri ritratti abbastanza nutrito da permettere il riconoscimento facciale automatico, che, come insegnano da molti anni i film d’azione, può essere eseguito in tempo reale sulle telecamere di sicurezza.

6) evitare di usare sistemi di sblocco dello smartphone con l’impronta digitale, ovviamente (anche perché le autorità in genere possono imporre lo sblocco col dito, ma non possono legalmente obbligare a dare le password).

7) per quanto riguarda i social media, beh, essendo progettati proprio per gestire dati sensibili (le nostre opinioni e la nostra localizzazione), la cosa diventa ancora più delicata. è consigliabile evitare di usare app come quella ufficiale di Facebook, che richiedono permessi di accesso a praticamente qualunque aspetto del telefono e del sistema operativo (identità, video attraverso la fotocamera, audio attraverso il microfono, immagini della gallery, rubrica degli amici, luoghi in cui siamo stati…).
io uso la versione mobile di Facebook attraverso browser, oppure un’app che si chiama Tinfoil ed è semplicemente un’interfaccia alternativa del browser. svantaggio: in questo modo i messaggi privati non sono accessibili, ma è importante sapere che installare l’app ufficiale o Messenger significa aprire a Facebook una quantità di accessi ai dati sul nostro smartphone, di alcuni dei quali potremmo persino non essere a conoscenza.

infine, vale la pena di notare che non esiste niente che ci renda veramente invisibili. teniamone conto.

 

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Foto di Simon Yeo su flickr

 

Cosa dobbiamo sapere sulla nuova legge di omicidio stradale (prima di tutto, che investendo una persona facilmente la si uccide)

Con il nuovo reato di omicidio stradale, ci sono alcune cose che è bene tenere tutti in mente in ogni momento quando siamo al volante. Con il nuovo reato di omicidio stradale, ma anche senza.

Come già avvenuto in altri paesi europei, anche in Italia le pene sono state inasprite e commisurate alla gravità dei danni arrecati in caso di investimento grave di un pedone, e oggi la cosa si fa davvero seria per l’automobilista – se l’eventualità di uccidere qualcuno non lo fosse già abbastanza.

#Finalmente, ha detto il PresdelCons. Finalmente, ma resta triste che per proteggere le persone su un tema in cui basterebbe una cultura di sicurezza condivisa si debbano fare leggi così severe da rovinare la vita di altre persone, e in Italia da tanti anni si sia rinunciato a fare prevenzione culturale nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Gli automobilisti italiani hanno, per cultura nazionale, un uso dell’auto così spensierato e superficiale da rischiare di rovinare e rovinarsi la vita. E in questa categoria rientriamo tutti più di quanto pensiamo.

Di investire qualcuno può capitare a tutti perché guidiamo tutti – io per primo – troppo veloce. Il danno causato investendo qualcuno oltre i 30 kmh è spesso così grave da uccidere o menomare a vita.

“A 50 kmh la probabilità di morte è del 55%. Se questa velocità viene ridotta a 32 kmh la probabilità di morte dell’investito scende al 5%”

Non ho ancora una vera e propria opinione sulla legge: di sicuro ha un serio impianto punitivo. Una cosa è chiara: se non lo siamo stati finora (e statisticamente non lo siamo stati), d’ora in poi bisogna essere MOLTO più prudenti alla guida, e andare MOLTO più piano nelle strade urbane ed extraurbane. Perché come dimostrano le statistiche e le cronache degli ultimi anni, i morti avvengono in città.
Le novità

– Prima di tutto: non cambia nulla in caso di morte causata da semplice violazione del codice stradale (omicidio colposo da 2 a 7 anni). È il caso più comune, credo. Si può già andare in prigione per un investimento stradale, anche se credo non accada quasi mai, come fanno spesso notare i parenti delle vittime.

– La pena passa a da 8 a 12 anni di carcere per chi investe e uccide in stato di ebbrezza alcolica grave (o sotto l’effetto di droghe), se il tasso alcolemico supera gli 1,5 grammi per litro (secondo le tabelle del ministero equivale a qualcosa come 4/5 superalcolici per un maschio di 70-80 kg, o più di un litro di vino).

– La pena va da 5 a 10 anni se il tasso supera 0,8 grammi per litro (due superalcolici o due bicchieri di vino e mezzo) o in caso di guida pericolosa.

– Nel caso dei conducenti professionali (camionisti, autisti di bus) la pena da 8 a 12 annui si applica a qualunque tasso alcolemico oltre gli 0,8 grammi per litro.

– La pena può aumentare del 50% se si uccide più di una persona, e fino a due terzi in più in caso di fuga con omissione di soccorso. Teoricamente (ipotesi da verificare) si potrebbe finire in galera per trent’anni con ebbrezza grave + vittime multiple + omissione di soccorso (12+50%+66%).

– Se non c’è omicidio ma lesioni gravi o gravissime (se invece di ammazzare chi investiamo, lo rendiamo solo disabile grave), le pene vanno da 3 a 5 anni e da 4 a 7 rispettivamente.

– In caso di condanna o patteggiamento (anche con la condizionale) per omicidio o lesioni stradali viene automaticamente revocata la patente. Una nuova patente sarà conseguibile solo dopo 15 anni (omicidio) o 5 anni (lesioni). Ci sono però le aggravanti: in caso di fuga con omissione di soccorso dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca.

– Sono previsti il raddoppio dei termini di prescrizione e l’arresto obbligatorio in flagranza in caso di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto. Se quando ci fermano siamo sopra i limiti, si viene arrestati d’ufficio.

Conclusione: se investiamo qualcuno uccidendolo dopo una cena in cui abbiamo bevuto, oggi c’è l’eventualità reale di finire in galera e di non guidare mai più, MA se questo accade significa che abbiamo ucciso o se va “bene” reso disabile una persona, che è quello che dovrebbe preoccuparci veramente. Oltre a una maggiore disponibilità di mezzi pubblici, è proprio una cultura della sicurezza, la consapevolezza continua che guidare significa andare in giro con una pistola carica, che manca nella nostra società. E che non vedo lo Stato incoraggiare nemmeno oggi, se non con la minaccia di pene gravissime.

 

omicidio stradale

L’automobile è un’arma

A volte, discutendo di incidenti e sicurezza stradale, mi capita di dire “l’automobile è un arma“, incontrando sguardi di stupore e scetticismo.
Perché certo, come possiamo accettare l’idea che una cosa così presente nelle nostre vite, su cui passiamo ore ogni settimana e su cui trasportiamo i nostri figli, possa essere paragonata a una cosa pericolosa come un’arma? Le armi sono oggetti da paesi incivili come gli Stati Uniti: noi siamo una socialdemocrazia europea che tutela i suoi cittadini con regole strette come il Codice della Strada e i limiti di velocità, talmente bassi che quasi nessuno di noi li rispetta. E se non li rispettiamo è per una sola ragione: non riteniamo che l’automobile sia un oggetto pericoloso.

Ignorando più o meno volontariamente che in Europa le auto sono la terza causa di morte*, e uccidono quasi 350 persone al giorno, più di 127.000 ogni anno. L’intera città di Ferrara. Di questi, 6.500 sono bambini. 2,4 milioni di persone vengono ferite oppure rese disabili in incidenti stradali ogni anno.

Ma questi sono solo numeri noiosi: in fondo qui si tratta di incidenti, gli incidenti non sono prevedibili, è questione di sfortuna, e con questo comodo fatalismo continuiamo a guidare in città ai 70 all’ora, senza minimamente preoccuparci del fatto che l’auto che stiamo guidando pesa oltre una tonnellata, e che se ci dovesse capitare di investire qualcuno, per esempio un bambino che ci taglia la strada uscendo da due auto parcheggiate, la forza dell’impatto, data da massa x accelerazione, scaricherebbe sulla persona che investiamo – anche solo guidando a 30 kmh – una forza di 16 tonnellate. A 70 kmh sono 90 tonnellate.

 

Di questa cosa hai una dimostrazione pratica straordinariamente efficace quando ti trovi a passeggiare una domenica mattina e, nel parcheggio dell’hotel che si trova sul lato opposto della strada, una station wagon Mercedes impazzisce, parte a razzo da ferma, investe in pieno e svelle il cancello di ferro dell’hotel (16 tonnellate, ricordate?) scaraventandolo sulla strada, colpisce con una violenza che ti lascia senza fiato il muso di una Punto facendola ruotare di 90°, e si infila in un negozio abbattendone quasi completamente la vetrina ed entrandoci con un metro di muso.

A quel punto non puoi più fare a meno di considerare che se tu e la tua splendida fidanzata vi foste trovati 15 metri più avanti, avreste avuto meno di 2 secondi per togliervi di mezzo e cercare di non crepare all’istante.

C’è bisogno, a questo punto, di sottolineare che 16 tonnellate che ti sbattono contro la vetrina di un negozio sono molto più letali di un colpo di pistola?

Senza dubbio: un’arma. Che a velocità oltre i 30/50 kmh è quasi sicuramente letale, e che in Italia è anche il modo con più probabilità di successo per uccidere qualcuno e farla franca, visto che, a differenza degli incivili USA dove vendono le armi al supermercato, da noi non esiste il crimine di omicidio stradale, e la maggior parte degli investimenti si risolvono con pene da tre mesi a un anno o la multa da 500 a 2.000 euro per lesioni gravi, la reclusione da un anno a tre anni per lesioni gravissime, la reclusione da due a un massimo di sette anni in caso di omicidio.

Il reato è colposo quindi le pene non vengono mai comminate interamente, e condizionale o patteggiamento consentono quasi sempre di evitare il carcere. Mentre in Gran Bretagna la pena per guida pericolosa causa di morte è fino a 14 anni. Negli USA in alcuni stati si va da 3 a 15 anni, fino a 20 o anche 30 in caso di aggravanti, con la possibile incriminazione per omicidio di primo grado.

Questo solo per dire: la prossima volta che in città vediamo – e accadrà sempre più spesso – il divieto di velocità a 30 kmh, una ragione c’è. Magari pensiamo un attimo alle 16 tonnellate, e rispettiamolo.

Io, comunque, ho ancora i brividi.

 

 

*Escludendo il suicidio

 

 

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