alone together di sherry turkle: i social media ci rendono davvero “soli”?

è uscito (anche in italiano) il nuovo saggio di Sherry Turkle Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, in cui la ricercatrice di scienze sociali che è stata tra le prima a studiare le community e la socialità online traccia il ritratto di una società assorbita dallo strumento (cellulare, tablet) come soluzione ai propri bisogni di socialità. non l’ho ancora letto ma mi pare di capire che la tesi sia che stiamo rinunciando alla conversazione umana in favore della velocità e dell’ipersemplicità delle relazioni digitali, il che ci consente di riempire spazi “vuoti” e ci costringe a delegare le interazioni umane al digitale.

al di là dell’indiscussa competenza della Turkle, che non è in discussione, leggendo le sintesi che ne fanno i magazine (quindi, molta prudenza) il sospetto è quello di una tesi parziale, che tiene conto degli svantaggi ma sembra meno attenta al lato consapevole e ai vantaggi di questo utilizzo della tecnologia.

perché nulla ci dimostra che si tratti di una scelta subìta e non cercata. è indubbio che, se parliamo di relazioni e conversazioni, il web sia molto più ricco di possibilità e opportunità di qualunque piazza. poi è vero che a volte (spesso) queste conversazioni sono necessariamente semplificate, sintetizzate, ridotte ai minimi termini, e questo per la complessità dei ragionamenti – come per l’utilizzo della lingua – è un limite. ma davvero non è una scelta, accettare questo limite in favore della varietà umana, di reazioni e di idee, molto maggiore e più selezionata a cui ci consentono di accedere in social media? parafrasando (e ribaltando) Guzzanti: sconosciuto per strada, ma io e te, che cazzo se dovemo dì?

mi sembra – è una convizione diffusa che mi lascia sempre perplesso – che la preoccupazione per l’auto-isolamento reso necessario dall’utilizzo di interfacce totalizzanti, e soprattutto la denuncia della perdita delle interazioni umane casuali sia vista come un processo disumanizzante di cui siamo vittime, mentre sono abbastanza convinto che sia una scelta almeno in parte consapevole: l’accettazione di piccoli svantaggi per potere ottenere grandi vantaggi.

poi è vero che l’assorbimento totale della nostra attenzione da parte dei cellulari ci impedisce, o rende più difficile, vivere la città, osservarla, studiare le persone. stiamo un po’ perdendo la curiosità e l’allenamento a osservare il genere umano in azione (sempre che li si abbia mai avuti). e così la capacità di osservare la complessità di relazioni e rapporti di potere che si sviluppano continuamente, in modo fluido, al livello stradale delle attività umane. ma siamo certi che sia una limitazione del tutto subìta? siamo certi che prima lo facessimo, invece di essere assorbiti non da un cellulare ma dai nostri pensieri? e dedicarsi in solitudine ai propri pensieri ha davvero, in senso assoluto, maggior valore che condividerli con gli altri e ottenerne una conversazione?

 

 foto: Das Fotoimaginarium

 

3 commenti su “alone together di sherry turkle: i social media ci rendono davvero “soli”?”

  1. Io il libro di Sherry Turkle lo sto leggendo adesso, in lingua originale. Non perché sia stato incuriosito dalle sue teorie, ma perché mi ha stupito il fatto che stava confermando esattamente quello che erano già delle mie intuizioni. La disumanizzazione portata dalla tecnologia è ancora una tematica di nicchia, perché spaventa, tratta temi scomodi, troppo recenti (in certe location e meno in altre), visionari, che vanno contro corrente, contro la moda, contro il progresso, il social network… sembra quasi vada contro la libertà individuale ottenuta da tutti. Parlare oggi di problemi, mentre siamo in pieno entusiasmo per la comunicazione di massa e l’affermazione personale sul web… insomma rovina la festa, è un coito interrotto. E’ come dire all’october fest che l’alcool fa venire la cirrosi epatica, e uccide un tot di automobilisti all’anno.
    Le argomentazioni mie e della Turkle vengono osteggiate, diffuse poco e malamente perché la gente è incapace di accettare queste sberle in faccia, normalmente tutti preferiamo assecondare i nostri appetiti ed essere indulgenti con i nostri disagi… è la natura, chi fa viral marketing lo sa bene.
    Nel tuo articolo dici che non è detto che siamo vittime di questa deumanizzazione, potremmo volerla, essere condizionati dalla tecnologia consapevolmente, per avere vantaggi maggiori al costo di qualcosa (tipo i rapporti personali?).
    Che lo facciamo semi-consapevolmente e/o attivamente sono d’accordo, non siamo pienamente vittime, l’organizzazione ha prevalso su tutto e chi l’ha fatta siamo noi, perché è allettante il fatto di avere amici con la switch, utili solo per determinati scopi e nei momenti che vogliamo, senza disturbi ulteriori ne impegni. Abbiamo tanti contatti nel web e tutti sostituibili, rimuovibili con un click. Amori finti creati con un avatar in un mmorpg, o amicize con un profilo in social network, o una chat, in pratica facciamo continue performance di personaggi… di noi stessi ma migliori. E ci delocalizziamo, perdiamo il conto di quanti “contatti” abbiamo e siamo in giro per il web, lo ignoriamo. Prendiamo tutto ciò che ci garba, oggettifichiamo gli altri e lo stesso fanno loro con noi, ci droghiamo di illusioni, superficialità, e così procediamo tutti (quasi) contenti, e (quasi) soddisfatti, di questa euforia sociale globale. Certamente siamo senza il fastidio della complessità di sentimenti, disagi, confronti, rotture che implica un rapporto di amicizia o di fidanzamento reale. Il mondo virtuale è più vasto e più facile del monotono, rischioso e limitato luogo dove si vive.
    Da questo fenomeno Social-Individualista, deriva anche l’idea dei companion robot, quella di sposare un robot migliore di una persona vera, avere tutti vantaggi e nessun disturbo. La Turckle cerca di esaminare e smontare questa perversione (almeno all’inizio del libro dove sono arrivato).
    Siamo certamente appagati da uno schiavo robot, e chi sostiene quella teoria ne è convinto, chi non vorrebbe essere accudito senza obblighi ne doveri reciproci? ma siamo davvero soddisfatti o ci illudiamo con le nostre stesse mani? alla fine abbiamo svalutato ogni cosa che caratterizza l’essere umano, la storia, la vita, il pensiero, la coscienza, e siamo profondamente soli con un pezzo di metallo con dentro funzioni “if … else”, che fa tutto ciò che vogliamo e non ci contraddice mai, e ci fa anche le faccine e i movimenti carini, ma è programmato per essere così… per ingannarci. E poi vivendoci assieme un giorno potremmo guardarci allo specchio e non capire più quale dei due è davvero umano… il robot umanizzato e l’umano disumanizzato si somigliano.
    L’era digitale è pragmatica, veloce, sintetica, logica, organizzata. Siamo super impegnati, abbiamo schedulato ogni cosa e persona, siamo multitasking, e le email sono obblighi da sfoltire quotidianamente, andiamo in giro sempre con un cellulare in mano. Comprare un oggetto in ebay o scrivere qualcosa, mentre si ascolta distrattamente la nonna in skype sono tutte task… e lei crede che tu la stia ascoltando davvero e si parla addosso. Ecco il progresso che cerchiamo… è allettante, comodo, facile, educa ad essere egoisti, basta solo non sentirsi in colpa perché è “normale” oggi essere così.
    Ci sono programmi e bottoni per ogni gestione, pretendiamo tutto subito come quando premiamo invio e “puff” accade qualcosa, si apre un file, bisogno soddisfatto senza fatica, senza lotta. E’ fastidioso che le persone non funzionino allo stesso modo!!
    Senza accorgercene soddisfiamo i nostri bisogni, senza riflettere. Ci fa sentire bene forse, ma questo non significa che ci faccia sempre bene, è come un bulimico che divora la roba, o un anoressico che si guarda allo specchio e cerca la magrezza. Lo stesso psicologicamente facciamo con questo comportamento autodistruttivo, e l’addiction ai videogiochi, ai social network, ai cellulari, vittime e carnefici del sistema, ogni giorno sempre meno umani, perché non si può più farne a meno, abbiamo iniziato a usare strumenti tecnologici per organizzare gli impegni della vita, e ora la vita stessa è organizzata dagli strumenti.
    Io lavoro nel web, e ho visto l’evolversi di molti strumenti, dai vecchi portali, i forum, i blog, e ora il social network, la velocità è impressionante nell’era digitale, la comunicazione di massa si espande e potenzia in modo esponenziale, la quantità di messaggi unita alla velocità elevata di scambio, e la scarsa qualità che circola, crea confusione, insensibilità, apatia e individualismo. Siamo storditi da immagini, suoni, parole.
    Secondo me le perplessità che ho, come le ha la Turkle ed altri, verranno riprese fra un po’ di tempo, quando la coscienza sarà più consolidata e la gente comincerà forse a dubitare che il loro comportamento è davvero vantaggioso e corretto. Non si poteva parlare di inquinamento ambientale e diritti dei lavoratori all’inizio dell’era industriale. Oggi siamo forse ancora all’inizio dell’era digitale, i nostri figli e nipoti dovranno analizzare i mali che affliggono la nostra società, e forse tenteranno di porvi rimedio, sempre che sia possibile.

    1. Sì, la questione del voler relazioni senza il fastidio della complessità è quella che mi ha più colpito nel libro perché è quella che possiamo già oggi vedere realizzarsi, e perché ancora non la percepiamo come un handicap ma come un vantaggio. Al di là della questione dei robot (interessante, da tenere presente ma ancora molto futuribile, secondo me), il tema del cercare relazioni non impegnative, di evitare il dolore o le scomodità per prendere solo quello che ci fa comodo è un pericolo molto reale perché tocca la sfera dell sviluppo psicologico e affettivo, soprattutto dei più giovani.

      Io però su questo punto sono abbastanza ottimista, non perché abbia il culto della tecnologia come soluzione ai problemi, tutt’altro, ma perché mi pare che la storia dimostri che il genere umano è sempre riuscito a assorbire le tecnologie, e i mutamenti che impongono, adattandole alle proprie esigenze culturali e sociali. Almeno mi pare :)

  2. Il tema è ampiamente trattato da Bauman nei suoi saggi sulla “liquidità” delle relazioni sociali. La critica non è al media, che ha i suoi indiscussi meriti ma all’utilizzo che in culture che sono già da anni immerse in una crisi di identità collettiva si fa dei social network. Ma insomma come si può accettare che la donna che ami ti defolli o ti tolga l’amicia impedendoti di seguirla dopo un litigio o peggio postando cose su di te irraccontabili. L’Amicizia, l’Amore sono cose serie che non vanno solo raccontate in post o taggate o twittate. L’importante in questa vita NON è condividere ma COINVOLGERE.

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